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L’affaire di Scientology. La qualificazione in via giudiziaria di una confessione nel contesto ‘europeo’ della libertà di religione


Written the Sunday, July 14th 2013 à 12:45
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Germana Carobene
(ricercatore di Diritto ecclesiastico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”)


L’affaire di Scientology. La qualificazione in via giudiziaria di una confessione nel contesto ‘europeo’ della libertà di religione

SOMMARIO: 1. Il caso della Chiesa di Scientology davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo - 2. La particolare evoluzione dei rapporti potere politico - fenomeno religioso nella storia russa - 3. Scientology e le problematiche di identificazione di una ‘confessione religiosa’ - 4. I rilievi dei giudici europei: violazione della libertà religiosa e necessità di intervento nella domestic jurisdiction.
 

1 - Il caso della Chiesa di Scientology davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo
 

Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale collegato all’identificazione pubblica dei culti religiosi ma, soprattutto, dei diritti collegati a tale riconoscimento, si delinea in forme sempre più stratificate con particolare riferimento alla confessione di Scientology le cui vicende giudiziarie hanno portato ad un progressivo interessamento dell’opinione pubblica ed hanno prodotto una serie di pronunce giurisprudenziali a livello nazionale – dall’Italia (1), alla Francia e alla Germania sino all’ultima, della Spagna – ed anche un recente intervento del supremo organo europeo.
 

La questione giuridica, discussa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, e decisa il 5 aprile 2007, ha avuto origine da un ricorso presentato dalla Chiesa di Scientology di Mosca contro il diniego del Dipartimento di Giustizia della stessa città di ri-registrarla nell’albo degli enti religiosi (2). È da osservare che tale chiesa era stata registrata originariamente nel 1994 ma, a seguito di un cambiamento della legge del 1990, aveva dovuto depositare una nuova richiesta di registrazione, rifiutata dalle autorità russe. Contro tali inique ed ingiustificate decisioni è stata proposta una denuncia alla Corte Europea per violazione degli artt. 9 e 11 della Convenzione che ha sovvertito le decisioni degli organi nazionali e non ha ritenuto le misure adottate ‘necessarie in una società democratica’.
 

Il supremo organo europeo, nella sua decisione, si è riferito ad una consolidata giurisprudenza che sancisce, come ribadito nell’articolo 9, che le libertà di pensiero, coscienza e religione costituiscono le fondamenta di una ‘società democratica’, così come sono intese dalla Convenzione del 1950 (3). La compressione o limitazione di tali fondamentali diritti può essere legittimamente invocata solo nelle ipotesi in cui si tratti di ‘strumenti necessari’, così come minutamente delineato dal secondo comma dello stesso art. 9. Nel caso de quo la Corte ha imposto, tuttavia, e ciò in linea di discontinuità con proprie precedenti pronunce giurisprudenziali, una più attenta valutazione di tali possibilità di limitazioni ed ha emesso un dispositivo che interviene decisamente nella legislazione interna del Paese.
 

È da sottolineare che l’Assemblea della Federazione Russa, la Duma, ha approvato, nel 1997, una nuova legge ‘sulla libertà di coscienza e sulle associazioni religiose’ (4), ancor oggi in vigore, sostitutiva dell’analoga normativa adottata nel 1990, durante il periodo della guida di Gorbaciov all’Unione sovietica (5). Questa legge, al di là delle previsioni, ha limitato fortemente la libertà religiosa nel suo pieno dispiegarsi favorendo, in forma evidente, la Chiesa ortodossa russa (6), sia pure riconoscendo l’importanza di alcune delle altre grandi confessioni religiose esistenti e strutturate all’interno del Paese. Risultano altresì limitati i diritti degli ortodossi che non riconoscono il Patriarcato di Mosca, dei cristiani non ortodossi e degli appartenenti alle ‘nuove confessioni religiose’. Detta legge ha assicurato, dunque e in forma evidente, innumerevoli vantaggi al Patriarcato di Mosca, desideroso di rinsaldare i legami con il potere politico, rafforzando la propria posizione di predominio ed evitando un’apertura verso le minoranze religiose, diversamente da quanto previsto nel precedente documento legislativo (7). Ha favorito, inoltre, i rappresentanti del potere che vagheggiavano un’ideologia nazionale unica, in grado di riunire insieme ‘ortodossia’, ‘spirito nazionale’, e ‘autocrazia’, compiendo un pericoloso passo indietro nel tempo.
 

2 - La particolare evoluzione dei rapporti potere politico - fenomeno religioso nella storia russa
 

È noto, infatti, che la conversione al cristianesimo ha rappresentato una svolta importante nella storia del primo Stato russo, la cosiddetta Rus’ di Kiev, poiché ha significato l’entrata nell’ecumene cristiano orientale e, più in generale, negli Stati europei (8).
 

La realizzazione della società cristiana ha avuto alla sua base l’adesione al Syntagma dei quattordici titoli, una raccolta di diritto canonico che ha introdotto in Russia non soltanto le disposizioni del diritto bizantino, ma soprattutto l’ideologia politica di questo impero, basata sul concetto della necessaria collaborazione tra il potere spirituale e quello temporale, in netta opposizione, quindi, con i principi proclamati, nello stesso periodo storico, dai cristiani di occidente. L’esistenza di una metropolia ortodossa si è rivelata, inoltre, strettamente funzionale al mantenimento di un omogeneo carattere etnico-culturale ai tanti principati sottomessi, per un arco temporale di quasi due secoli, al dominio tartarico (9).
 

A partire dalla metà del Quattrocento, a seguito della caduta di Costantinopoli sotto il dominio turco, i metropoliti non avevano ricevuto più la loro nomina dal patriarca di tale ultima città e si erano definiti ‘di Mosca e di tutta la Russia’ (10), originando così il processo di autocefalia, prodromico alla nascita dell’autonomo Patriarcato di Mosca (11), avvenuta nel 1589. La potenza di tale Chiesa portò, nei due secoli successivi, al riassorbimento nel suo gruppo, ormai il più imponente delle chiese russe, dei cristiani dell’Ucraina e Lituania, ortodossi, uniati - cattolici di rito greco – e persino parte dei cattolici di rito latino. La separazione politica e religiosa determinò, tuttavia, delle conseguenze che sono recentemente riemerse nella storia di questo Paese, e soprattutto, l’individuazione di tre diversi gruppi etnici: i grandi russi, i russi bianchi e gli ucraini.
 

L’incoronazione imperiale del 1547 e la trasformazione della cattedra metropolitana in Patriarcato del 1589, testimoniano la presenza e l’importanza delle due forze centripete, potere politico e religioso, ambedue tendenti alla formazione di uno Stato centralizzato. Dall’idea della stretta collaborazione trono – altare si è sviluppata, dunque, la teoria di Mosca come ‘terza Roma’ (12), non quale semplice principio politico piuttosto quale concetto “religioso sulla base del quale Mosca si è sentita chiamata a diventare la capitale spirituale del mondo”(13).
 

Nel periodo rivoluzionario è stata posta un’altra pietra miliare, nell’evoluzione storica delle relazioni Stato - Chiesa, con la promulgazione dell’Editto della tolleranza del 17 aprile 1905 il quale, introducendo la libertà di coscienza e di culto, consentiva a quanti desiderassero abbandonare la Chiesa sinodale di non perdere i diritti civili, oltre a sancire la parità di trattamento giuridico per gli appartenenti ad altre confessioni religiose. La costituzione dello Stato sovietico portò, il 23 gennaio 1918, alla promulgazione di un decreto sulla separazione della Chiesa dallo Stato (14) che riconosceva a tutti i cittadini la libertà di coscienza, intesa sia come facoltà di professare una fede religiosa ma soprattutto di non professarne affatto e di fare propaganda ateistica. Ha avuto così inizio un periodo particolarmente difficile che ha portato a molteplici tentativi di separazione delle varie chiese, favoriti dal governo del Soviet che, nella divisione delle Chiese ortodosse, intravedeva la possibilità di annientare la Chiesa Patriarcale.
 

La Costituzione del 1977, inoltre, stabilendo l’obbligo del rispetto delle ‘norme di convivenza socialista’(15), aveva trasformato “il diritto all’ateismo in un dovere del bonus civis sovietico, nel senso che questo deve attivamente contribuire a curare i credenti dalla malattia della fede religiosa”(16). L’identificazione totale Stato - partito comunista aveva, infatti, trasformato l’ideologia marxista facendole assumere i caratteri di una Weltanshauung che condizionava profondamente ogni settore della vita individuale (17). L’adesione a nuovi modelli legislativi in tema di libertà di coscienza, avviata con la legge del 1990, ha rappresentato quindi una sorta di rivoluzione copernicana, comportando il superamento dell’equazione Stato=partito= divinità (18).
 

Se è vero, tuttavia, che l’analisi socio-storica ha permesso di evidenziare la frequente utilizzazione della religione quale strumento di legittimazione del potere costituito e di pacificazione delle masse – portandole all’acritica accettazione della propria posizione sociale ed impedendo qualsiasi tentativo di protesta rivoluzionaria – è altresì incontestabile la funzione contestatrice e la capacità delle chiese di porsi quali collettori e garanti dei diritti individuali (19), soprattutto nelle delicate fasi storiche della dittatura e della repressione politica. L’analisi sociologica, compiuta a posteriori nei Paesi del blocco comunista ha evidenziato le capacità espressive di questa particolare ‘funzione’ che ha trasformato alcune comunità religiose in portavoce della protesta sociale (20).
 

In Russia, tuttavia, la fase del ‘risveglio religioso’ non ha portato grandi stravolgimenti soprattutto per il particolare equilibrio della Chiesa ortodossa all’interno della compagine politica e sociale. Il principio di laicità, solennemente richiamato nell’art. 14 dell’attuale Costituzione non è stato, infatti, mai messo in discussione così come l’ideale della separazione Stato - Chiesa, che l’implosione dell’ideologia comunista non consente più di identificare nell’esclusione dei fenomeni religiosi dalla vita sociale del Paese, ma come corretto principio di neutralità/indifferenza del potere politico nei confronti di un diritto individuale del cittadino.
 

Nella fase della perestrojkca, il riconoscimento dell’importanza della religione nel suo complesso aveva portato all’approvazione di una legge, quella del 1990, che garantiva la perfetta uguaglianza di tutte le confessioni ed il pieno esercizio del diritto di libertà di coscienza. Dall’identificazione della stessa con la ‘libertà di propaganda antireligiosa’, caratterizzante la fase politica marxista, si era passati così ad un completo stravolgimento semantico che ha portato a definirla come la vera libertà dell’uomo, svincolata da qualsiasi influenza mistica o ideologica, esemplificazione di una concreta separazione politico- religiosa.
 

L’ultima legge approvata dalla Duma, al contrario, sembra voler riportare la tutela della libertà religiosa al periodo della sottomissione della Chiesa al potere temporale (21). In essa, infatti, si afferma che possono essere definite associazioni ‘russe’ solo quelle che hanno assunto veste legale sul territorio da almeno cinquanta anni – cioè durante la dittatura di Stalin (22) - in un periodo in cui la stessa sopravvivenza delle chiese era legata all’accettazione della clandestinità. Il diritto di costituzione di una comunità per motivi religiosi è legato alla presenza fisica dei credenti sul territorio e così un gruppo formatosi in un certo ambito territoriale non può svolgere, al di fuori dello stesso, la sua opera di missione. Un’associazione straniera – e tale è ad esempio considerata, ai sensi della legge, anche la Chiesa Cattolica (23) - ha il diritto di avere una propria rappresentanza ma non potrà svolgere alcun tipo di attività religiosa. Le associazioni locali, a qualsiasi religione appartengano, devono attestare la loro presenza sul territorio da almeno quindici anni, cioè dai tempi di Breznev (24). In mancanza di tale riconoscimento non possono svolgere nessun tipo di attività e, se non ottengono una nuova registrazione, sono destinate ad essere “liquidate per via penale” (25).
 

L’approvazione di questa legge, e l’avallo da parte delle più alte gerarchie della Chiesa ortodossa (26) sembrano evidenziare, dunque, la volontà della stessa di porsi in posizione di supremazia rispetto a tutte le altre confessioni esistenti nel Paese che dopo il crollo del regime hanno acquistato maggiore forza di penetrazione, senza preoccuparsi, tuttavia, della situazione di asservimento al potere temporale che ne deriva e che porta il ruolo della chiesa indietro di secoli nella storia.
 

3 - Scientology e le problematiche di identificazione di una ‘confessione religiosa’
 

Nell’ambito di questa complessa ed articolata fenomenologia storico - giuridica deve essere correttamente inquadrato il caso de quo che non concerne una qualsiasi minoranza religiosa ma la Chiesa di Scientology che rappresenta, indubbiamente, uno dei fenomeni più controversi della storia moderna, a partire dalla figura, senza dubbio carismatica, del suo fondatore o ideatore, Ron L. Hubbard e delle sue teorie atte al miglioramento delle condizioni umane - la “dianetica” (27). Punto di partenza è un manoscritto distribuito fra gli amici, fotocopiato, che circola rapidamente ovunque, finché, nel 1950, Ron Hubbard s’impegna a scrivere quella che sarà poi considerata la “Bibbia” dei seguaci della Chiesa di Scientology: “Dianetics - la forza del pensiero sul corpo” un libro che diviene un best seller planetario. Ma è l’anno successivo che vede la nascita dell’Hubbard Association of Scientologists, a Phoenix, la prima vera sede di quel movimento che, sviluppandosi rapidamente, prima negli U.S.A e in Inghilterra, per poi esplodere in tutto il mondo, diverrà nel 1954 a Los Angeles, la Chiesa di Scientology.
 

Attualmente la Chiesa è costituita autonomamente, ha un proprio consiglio d’amministrazione e dirigenti responsabili dell’andamento sia dell’attività ecclesiastica che di quella associativa. Queste strutture costituiscono un insieme complessivo di oltre duemilatrecento fra chiese, missioni e gruppi. La parola Scientology, coniata dal suo fondatore, deriva dal latino scio - sapere-, e dal greco logos – ragione, in sintesi, dunque, lo ‘studio della conoscenza’ e la cura dello spirito in relazione a se stesso ed a ciò che ci circonda. Non è una religione dogmatica basata sulla fede, poiché con la stessa si può scoprire la realtà da sé, osservando i risultati dell’applicazione dei suoi principi. Essa, infatti, si propone di fornire risposte precise a molte domande, in maniera concreta (28). Hubbard riteneva di aver trovato i mezzi per sviluppare una tecnologia capace di liberare l’essenza stessa dello spirito umano (29), fornendo prove circa l’effettiva validità di tutte le procedure da lui concepite. Proprio perché risponde a tutti e tre i criteri individuati dagli studiosi mondiali per determinare la natura ‘religiosa’ di un movimento - la fede in una Realtà Fondamentale, pratiche dirette alla comprensione o al raggiungimento di questa, nonché una comunità di credenti - essa si considera una religione a tutti gli effetti.
 

Nella problematica in esame il profilo sostanziale di rilevante interesse giuridico è legato, in primis, alla qualificazione del concetto di ‘confessione religiosa’, cui si ricollegano evidenti ed importanti riflessi in ambito giuridico.
 

Tali concetti hanno investito in tempi recenti anche il contesto europeo in cui attualmente si sottolinea come “ogni definizione presuppone la capacità di identificare l’essenza del fenomeno analizzato, cioè uno o più caratteri che siano al tempo stesso sufficienti e necessari a qualificarlo ma, sotto questo profilo, tutti i tentativi compiuti dalla dottrina giuridica (e non solo giuridica: si pensi alla storia ed alla sociologia della religione) hanno largamente dimostrato l’impossibilità di pervenire a questo risultato in relazione alla definizione di religione”(30). In tal senso si è proposta l’individuazione di un modello paradigmatico all’interno del quale individuare i “caratteri che debbono essere presenti in ogni gruppo che intende qualificarsi come confessione religiosa”(31).
 

Sono evidenti, tuttavia, le difficoltà di inquadramento del fenomeno religioso dal momento che, com’è stato correttamente sottolineato, “anziché essere separate da una netta linea di frattura, passibile di essere individuata con sicurezza, le aree del religioso e del non religioso sono unite da un’ampia zona grigia in cui si collocano realtà ... che, senza violare i princìpi della logica giuridica, possono essere definite religiose o non religiose a seconda delle sfumature interpretative con cui si assume questo termine”(32); e tali strutturazioni risultano particolarmente problematiche e contraddittorie soprattutto nell’ambito di strutture sociali centrate su un concetto di religione essenzialmente tradizionalista, come normalmente si verifica in ambito europeo.
 

La possibilità di individuare una ‘vera’ religione (33) comporterebbe la necessità di definire aprioristicamente, e definitivamente, i caratteri paradigmatici della stessa per verificare, in una fase successiva, se un determinato movimento possa esservi incluso, operando in sintesi una valutazione dei convincimenti interiori degli appartenenti al gruppo.
 

Tale giudizio di valore evidenzia contemporaneamente la sua indefinibilità – essendo legato a precise coordinate spazio/temporali e ad evidenti scelte di politica interna - e, contemporaneamente, la sua pericolosa arbitrarietà, comportando un’ intrusione incisiva nella sfera intima della coscienza individuale. Nel tentativo di conciliare esigenze contrapposte si è preferito sottolineare la necessità di adottare un meccanismo che “consenta di verificare la ‘reale natura’ del gruppo rispettando la libertà di coscienza delle persone che vi aderiscono”(34), partendo dall’autoqualificazione del movimento, da valutare in maniera relativa, per passare ad una necessaria fase di verifica (35). È, infatti, di fondamentale importanza associare ad un’analisi di tipo oggettivo una valutazione ‘soggettiva’, sottolineando anche i caratteri autoreferenziali e di auto qualificazione del gruppo e/o movimento.
 

È interessante rilevare che con riferimento a tale definizione la giurisprudenza spagnola, in passato legata alla tesi teistica o contenutistica, in cui l’iscrizione nel Registro delle Entità Religiose era subordinato all’individuazione di elementi minimi – fede in un Dio, pratica di riti – collegabili al concetto di religione in senso ‘tradizionale’ (36), ha recentemente abbandonato tali posizioni. In una pronuncia del 2007, infatti, l’Audiencia National, il tribunale speciale spagnolo, ha sottolineato che “la presenza di un registro delle confessioni religiose non autorizza lo Stato ad operare un controllo sulla legittimità delle credenze professate; ai fini dell’iscrizione, la Pubblica Amministrazione deve verificare esclusivamente che gli statuti dell’ente confessionale siano conformi all’art. 3 della Ley Organica de Libertad Religiosa, dove si esplicitano i limiti all’esercizio della libertà religiosa (art. 3.1: rispetto dei diritti altrui e dell’ordine pubblico; art. 3.2: attività con fini diversi da quello di religione e di culto)”(37). Non è questa la sede per affrontare le lunghe ed articolate vicende giudiziarie che hanno interessato Scientology negli ultimi anni, associate molte volte ad un’intensa campagna contraria di mobilitazione dell’opinione pubblica. Resta soltanto da sottolineare come gli interventi giurisprudenziali hanno rilevato la natura confessionale del movimento così come è avvenuto, ad esempio, a seguito della lunga vicenda giudiziaria italiana; ma fenomeni analoghi sono riscontrabili anche nella casistica statunitense.
 

4 - I rilievi dei giudici europei: violazione della libertà religiosa e necessità di intervento nella domestic jurisdiction
 

L’analisi delle diverse giurisprudenze nazionali evidenzia, dunque, le particolari problematiche giuridiche legate al ‘fenomeno’ di Scientology, con difficoltà qualificato come ‘confessione religiosa’ ma anche la necessità, avvertita in forma sempre più pressante, di creazione di un diritto comune, quanto meno a livello europeo ed, almeno, in tema di riconoscimento dei diritti fondamentali dell’individuo e dei gruppi. In tal senso il recente intervento della Corte Europea offre interessanti spunti di riflessione ed apre la strada ad una progressiva compressione della domestic jurisdiction, in passato assolutamente impensabili.
 

Con riferimento al quadro europeo di tutela dei diritti dell’uomo si potrebbe delineare un c.d. ‘diritto europeo di religione’ (38) che potrebbe trovare il proprio paradigma giuridico di riferimento nell’art. 9 della Convenzione Europea, ripreso, sia pure parzialmente dall’art. 10 della Carta di Nizza. L’evoluzione legislativa del diritto di libertà di pensiero, coscienza e religione, che non riproduce il secondo comma - con riferimento alle restrizioni per motivi di ordine pubblico, di salute, di morale pubblica o di protezione degli altrui diritti e libertà e senza, quindi, lasciare al riguardo un margine di apprezzamento agli Stati -, sembrerebbe ampliare il raggio di azione europeo. L’analisi giurisprudenziale aveva per il passato evidenziato, tuttavia, un notevole spazio lasciato alla marge d’appreciation dei singoli Stati nelle questioni di carattere interno, anche operando valutazioni di carattere storico e/o politico.
 

Il controlimite posto dall’art. 9.2 alle restrizioni del diritto di libertà di pensiero, di coscienza e di religione – l’essere, cioè, quelle «misure necessarie in una società democratica» - ha subito spesso una ‘dissolvenza’ a favore degli interventi restrittivi degli Stati. Benché le affermazioni di principio vadano nel senso che «any interference must correspond to a “pressing social need”» e che «the notion “necessary” does not have the flexibility of such expressions as “useful” or “desirable”», in concreto la giurisprudenza ha giustificato restrizioni magari comprensibili sotto il profilo della storia politica degli Stati ma evidentemente non necessarie, come invece richiesto dalla norma, in una società democratica. Basti pensare al caso Otto - Preminger Institut ed al divieto, riconosciuto legittimo, di proiettare un film ritenuto offensivo per i cattolici, sia pure all’interno di una sala privata ed a seguito di adeguata pubblicità (39). O ancora al riconoscimento della particolare posizione della Chiesa ortodossa all’interno della Grecia o alla legittimità dell’espulsione in Turchia di una studentessa universitaria che intendeva indossare il foulard islamico ai corsi, in base alle particolari considerazioni del valore della laicità nel preciso contesto geopolitico dei singoli Paesi (40).
 

Nel caso proposto contro la Russia, invece, i giudici europei non sembrano aver voluto considerare apprezzabili di valutazione di opportunità, né politica né tantomeno giuridica, i rifiuti degli organi interni al riconoscimento della Chiesa di Scientology nel novero delle associazioni riconosciute ai sensi della legge del 1997. Le motivazioni partono innanzitutto dallo stretto legame degli artt. 9 e 11 della Convenzione che, nel caso di specie, devono essere letti congiuntamente. Si sottolinea, infatti, che «since religious communities traditionally exist in the form of organised structures, Article 9 must be interpreted in the light of Article 11 of the Convention, which safeguards associative life against unjustified State interference. Seen in that perspective, the right of believers to freedom of religion, which includes the right to manifest one’s religion in community with others, encompasses the expectation that believers will be allowed to associate freely, without arbitrary State intervention. Indeed, the autonomous existence of religious communities is indispensable for pluralism in a democratic society and is thus an issue at the very heart of the protection which Article 9 affords. The State’s duty of neutrality and impartiality, as defined in the Court’s case-law, is incompatible with any power on the State’s part to assess the legitimacy of religious beliefs»(41).
 

Si evidenzia, inoltre, ed è questo l’aspetto più importante ed innovativo del dispositivo europeo, la necessità di imporre dei limiti alle valutazioni dei singoli Stati in merito anche al libero diritto di associazione: “certainly States have a right to satisfy themselves that an association’s aim and activities are in conformity with the rules laid down in legislation, but they must do so in a manner compatible with their obligations under the Convention and subject to review by the Convention institutions”(42).
 

La Corte chiarisce che «any interference must correspond to a ‘pressing social need’; thus, the notion ‘necessary’ does not have the flexibility of such expressions as ‘useful’ or ‘desirable’»(43), principi che potrebbero segnare un deciso mutamento, più incisivo ed interventistico, degli organismi europei nei futuri equilibri geo-politici dell’Europa in costruzione. Tale sentenza ha imposto, dunque, un ampliamento del concetto europeo di libertà di religione che avrà interessanti riflessi all’interno delle diverse legislazioni statali, consolidando tale fondamentale diritto ed estendendolo a tutte le religioni non solo radicate, ma anche in via di strutturazione, nel nostro continente (44).
 

 

 

1 Sulle vicende italiane sono stati molteplici gli interventi dottrinari e giurisprudenziali, legati alle vicende tributarie dell’organizzazione ed al c.d. lungo processo di Milano. Tra i primi cfr., inter alia, F. FINOCCHIARO, Note marginali sulle pseudo religioni in Spagna, in Dir. Eccl., 1990, II, p. 323 ss., e, dello stesso Autore, L’organizzazione di Scientology ed i suoi fini, in Dir. Eccl., 2, 1991, pp. 122 ss., e, Scientology nell’ordinamento italiano, in Dir. Eccl., 1995, I, p. 601 ss.; F. ONIDA, Nuove problematiche religiose per gli ordinamenti laici contemporanei: Scientology e il concetto giuridico di religione, in Quad. dir. pol. eccl., 1998, 1, pp. 279-293. Cfr. anche P. COLELLA, Sul carattere “religioso” dell’associazione di Scientology, in Corriere giuridico, 1/2002, pp. 41-44; G. D’ANGELO, Ultime vicende giudiziarie della Chiesa di Scientology, in Dir. Eccl., 1, 1998, pp. 384 ss.; R. SARACENO, Scientology fra libertà religiosa e diritto comune, in Dir. Eccl., 2, 2001, pp. 112 ss.; P. MAZZEI, La natura della “Chiesa di Scientologia”, in Dir. Eccl., 1991, II, p. 405 ss.
 

Sulle problematiche, a livello generale, cfr. M. TEDESCHI, I nuovi movimenti religiosi in Italia. Problemi giuridici, in Diritti dell’uomo e libertà dei gruppi religiosi.Problemi giuridici dei nuovi movimenti religiosi, a cura di S. FERRARI, Padova, Cedam, 1989, pp. 239-252, ed ora ID., Vecchi e nuovi saggi di diritto ecclesiastico, Milano, Giuffré, 1990, pp. 89-102.
 

2 European Court of Human Rights, first section, Church of Scientology Moscow v. Russia , no. 18147/02, 5 April 2007, in Diritto e Religioni, 2007, 2, pp. 663 -679.
 

3 Sentenza della Corte Europea, cit., par. 71: «The Court refers to its settled case- law to the effect that, as enshrined in Article 9, freedom of thought, conscience and religion is one of the foundations of a “democratic society” within the meaning of the Convention. It is, in its religious dimension, one of the most vital elements that go to make up the identity of believers and their conception of life, but it is also a precious asset for atheists, agnostics, sceptics and the unconcerned. The pluralism indissociable from a democratic society, which has been dearly won over the centuries, depends on it».
 

4 La legge sulle associazioni religiose del 19 settembre 1997 è stata pubblicata su Il Regno – documenti, n. 19, a. XLII, n. 802, 1 nov. 1997. Cfr. T. SINURAYA, Constitutional Foundation of the Religious Freedom in Russia vs Registration of Religious Associations under the Law of 1997, in European Journal for Church and State Research, 1999, vol. 6, pp. 247-264.
 

5 Cfr. G. CAROBENE, La recente legge sovietica sulla libertà di coscienza e organizzazioni religiose, in Dir. Eccl., 1991, 2-3, pp. 428-452, che contiene in appendice il testo della legge del 1990. Tale testo è anche in G. BARBERINI, La legge sulla libertà religiosa in Unione Sovietica, in Aggiornamenti sociali, 5, 1991, pp. 383-392, preceduta da un commento alla stessa, pp. 377-382.
 

6 Nel suo Preambolo, infatti, si legge: “riconoscendo lo speciale contributo dell’ortodossia alla storia della Russia e alla formazione e allo sviluppo della spiritualità e della cultura russe”. Tale affermazione non sembra completamente mitigata da quella immediatamente successiva: “nel rispetto del cristianesimo, dell’islam, del buddhismo, dell’ebraismo e delle altre religioni e culti che costituiscono una parte ineliminabile del patrimonio storico del popolo russo”.
 

7 La normativa del 1990 non poneva limitazioni alle organizzazioni religiose straniere né ai culti di più recente formazione.
 

8 Cfr. A.M. AMMAN S.J., Storia della Chiesa Russa e dei Paesi limitrofi, Torino, 1948. Ma anche V. GITERMANN, Storia della Russia, Firenze, 1973, vol. I, p. 46 ss., sottolinea “il fatto che il cristianesimo fu accolto dai Russi nella forma della confessioni greco-ortodossa è cosa che ha contribuito in maniera essenziale per secoli ad isolare la Russia dall’Europa romano-cattolica, e più tardi dall’Europa protestante” (p. 50).
 

9 V. GITERMANN, op. cit., p. 104 ss., sottolinea che una “posizione privilegiata godette sotto il dominio tartarico la Chiesa russa. Ciò nasceva da tutta la politica religiosa dei Mongoli, che miravano alla potenza e alla ricchezza, non alla conversione di chi pensava diversamente da loro. Erano loro soggetti numerosi popoli di credenze diverse, ed essi li trattavano tutti secondo il principio della più illimitata tolleranza”.
 

10 Nel 1461 la cattedra di Mosca divenne un ingranaggio dello Stato, dipendente dal gran principe di Mosca ed i sovrani moscoviti cominciarono, a partire da Ivan III, a nominare e revocate i metropoliti, secondo una propria, libera, decisione.
 

11 Cfr. J. CRYSOSTOMUS, Le forze religiose nella storia russa, Brescia, 1962. L’A. sottolinea che “lo spostamento definitivo della sede metropolitana segnò una tappa decisiva nella storia della Chiesa russa perché ne determinò l’ulteriore sviluppo: esso costituiva in certo modo una deviazione dall’orientamento del cristianesimo primitivo del regno Rus’; la chiesa tendeva, infatti, a seguire la sorte del nuovo Stato che era per sorgere, adattandosi alle sue peripezie e assumendosi il grave rischio della subordinazione” (p. 46).
 

G. CODEVILLA, Religione e spiritualità in URSS, Roma, 1981, in particolare pp. 34- 35, sottolinea che “in contrapposizione al progressivo accentramento romano, il patriarcato di Costantinopoli si presenta come una pluralità di chiese nazionali che non riconoscono la loro unità nella sottomissione al patriarca, ma nella comune fede e tradizione ... Si instaura così la tradizione che una Chiesa locale ha diritto all’autocefalia quando una nazione acquista l’indipendenza politica”. Dello stesso Autore cfr. anche Stato e chiesa nell’Unione Sovietica, Milano, 1972; La libertà religiosa nell’Unione Sovietica, Milano, La Casa di Matriona, 1985; Dalla rivoluzione bolscevica alla Federazione Russa, Milano, Angeli, 1996, e Stato e Chiesa nella Federazione Russa, Milano, La Casa di Matriona, 1998.
 

12 Il suo riconoscimento de iure e il suo posto come quinto dei seggi patriarcali fu ufficializzato solo con il Concilio di Costantinopoli del 1593.
 

13 V. CHAPLIN, Le relazioni tra Chiesa e Stato in Russia. La posizione della chiesa ortodossa, il dibattito pubblico e l’impatto delle esperienze straniere, in Diritto e religione nell’Europa post-comunista, a cura di S. FERRARI, W. COLE DURHAM jr., E. A. SEWELL, p. 382. Il concetto di una Chiesa-Nazione, di derivazione bizantina, si è rapidamente ed efficacemente imposto nella cultura russa come unità di un popolo che vive come comunità di fede ed è stato successivamente utilizzato in ambito politico con lo sviluppo delle teorie comuniste.
 

14 In appendice a V. GITERMANN, op. cit., vol. II, p. 807.
 

15 Cfr. art. 59 della stessa: “l’esercizio dei doveri e delle libertà è inseparabile dall’assolvimento dei doveri del cittadino. Il cittadino dell’URSS ha l’obbligo di rispettare la Costituzione dell’URSS, le leggi sovietiche e le norme della convivenza socialista”.
 

16 G. CODEVILLA, op. cit., p.81.
 

17 Cfr., inter alia, N. BERDJAEV, Le fonti e il significato del comunismo russo, Milano, 1976.
 

18 Cfr. C. CARDIA, Libertà religiosa, marxismo, comunismo reale, in Coscienza e libertà, I - II sem. 1990, pp. 129-139, il quale sottolinea che tale ideologia è stata trasformata “in una concezione totalitaria che, escludendo le altre, poteva generare ogni cosa: negazione dei diritti umani; emarginazione e discriminazione dei credenti; e poi, nei periodi più bui della storia sovietica, anche persecuzione e repressione” (p. 138).
 

19 Cfr. J. P. WILLAIME, Sociologia delle religioni, Bologna, 1996. Per l’A. “dichiarando che la miseria religiosa è, da un lato, espressione della miseria reale e, dall’altro, la protesta contro di essa, Marx aveva comunque riconosciuto la dimensione protestataria della religione ma, considerandola come la ‘felicità illusoria del popolo’, non l’ha mai presa sul serio e ha negato che, in certe circostanze, potesse contribuire alla ‘felicità reale’ del popolo”. Ciò è dovuto, secondo l’A. ai presupposti filosofici che appesantiscono l’analisi marxiana, “infatti, considerando la religione come una realtà sovrastrutturale che ha scarsa autonomia in rapporto alla base materiale della vita sociale, Marx non ha pensato il religioso come sistema simbolico autonomo... ne consegue un ridimensionamento del fatto religioso” (p. 12).
 

20 Cfr. V. GARADJA, URSS: ripensare la religione, in Coscienza e libertà, II sem. 1989, pp. 33-43.
 

21 Cfr. A. KRASSKOV, Sconfitta della libertà e dell’ortodossia, in Il Regno – attualità, 18, a. XLII, n. 801, 15 ott. 1997, pp. 538-539, il quale la definisce “un’autentica ‘legge truffa’ il cui scopo principale consiste nel porre la vita religiosa nel paese sotto il controllo rigoroso da parte dei funzionari in stragrande maggioranza atei che decidevano le sorti dei credenti durante il periodo sovietico”. Essa, comunque, statuisce all’art. 4 che “la Federazione Russa è uno stato laico” e “nessuna religione può essere definita di stato ... Le associazioni religiose sono separate dallo stato e sono uguali davanti alla legge”. Anche LEV SIMKIN, Chiesa e Stato in Russia, in Diritto e religione nell’Europa post-comunista, a cura di S. FERRARI, W. COLE DURHAM jr., E. A. SEWELL, in particolare p. 355 ss., sottolinea come tale legge viola “i diritti dei credenti che non appartengono alla Chiesa ortodossa russa e contiene delle disposizioni discriminatorie nei confronti delle minoranze religiose” (p. 356). Le limitazioni poste al libero esercizio della libertà religiosa, così come delineate nell’art. 3.2 - protezione della Costituzione, moralità, salute, diritti e interessi giuridici altrui, garanzia della difesa e sicurezza dello Stato - risultano, inoltre eccessivi rispetto alle previsioni della seconda parte dell’art. 9 della Convenzione Europea.
 

22 L’art. 8.5 della legge sancisce che “un’organizzazione religiosa centrale, la cui struttura sia stata attiva nel territorio della Federazione Russa, essendo legalmente riconosciuta, per non meno di cinquanta anni, al momento in cui presenta all’organo competente della registrazione la domanda per la registrazione statale, ha il diritto di usare nella propria denominazione le parole ‘Russia’, ‘russo’, e parole da queste derivate”.
 

23 Art. 13.2: “una rappresentanza di un’organizzazione religiosa straniera non può svolgere attività liturgiche o altre attività religiose, e non riceve lo status di associazione religiosa”.
 

24 Per la costituzione di organizzazioni religiose locali è necessario che il gruppo religioso risulti esistente “nel territorio per non meno di quindici anni” oppure faccia parte di un’organizzazione religiosa centrale: art. 9.1.
 

Sul punto è intervenuta una sentenza della Corte Costituzionale che nel 1999 pur non dichiarando formalmente l’incostituzionalità dell’art. 27 ha riconosciuto la possibilità di registrazione prescindendo da tale requisito temporale e ha riconosciuto lo status di organizzazione religiosa anche a quelle strutture locali non facenti parte di un’organizzazione centrale e attive da meno di quindici anni, purchè registrate prima del 1997. Questo per evitare alle stesse l’obbligo di registrazione annuale previsto dalla legge: cfr. L. SIMKIN, Chiesa e Stato, cit., in particolare p. 362 ss.
 

25 Art. 26 della legge. Una successiva legge federale del 25 luglio 2002 ha, inoltre, stabilito altre ipotesi in cui l’autorità giudiziaria può imporre lo scioglimento di un’organizzazione religiosa: violazione della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, l’offesa della moralità pubblica, la minaccia alla salute, tendenze al suicidio, ostacoli all’istruzione dei minori, istigazione alla cessione dei beni a favore dell’associazione e limitazione al loro libero allontanamento. Sul punto cfr. L. SIMKIN, Chiesa e Stato, cit., in particolare pp. 365-366.
 

26 Cfr. Le basi della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa, Mosca, Consiglio dei Vescovi del Giubileo della Chiesa ortodossa russa, 13-16 agosto 2000, art. IV, §2, pubblicato in Il Regno, suppl. al n. 1, genn. 2001.
 

27 La parola Dianetics rappresenta “ciò che l’anima fa al corpo” e deriva dai vocaboli greci dia e nous che significano rispettivamente ‘attraverso’ e ‘anima’. La religione di Scientology considera che l’entità spirituale sia l’individuo stesso e mira al raggiungimento della sua consapevolezza. L ’essere, come spirito, è ciò che gli scientologisti chiamano thetan, dal greco theta, ossia ‘spirito’. La dianetica è una metodologia creata da Hubbard, atta ad aiutare ad alleviare sensazioni ed emozioni spiacevoli, paure irrazionali e malattie psicosomatiche, ossia tutto ciò che, partendo dall’anima, attraversa il corpo ed influenza la mente. Scopo ultimo della vita è dunque, per Scientology, la Sopravvivenza Infinita. Partendo da questo presupposto, comune a tutti gli uomini, la Chiesa mira alla risoluzione dei mali e delle aberrazioni dell’uomo.
 

28 Il sistema etico di Scientology è interamente fondato sulla ragione, e l’impiego della stessa, per raggiungere i più alti stadi di sopravvivenza in tutte le dinamiche. Al contrario, una condotta esclusivamente morale non può costituire una base solida per la ricerca. L’etica di Scientology si basa su due concetti chiave: il bene ed il male. Con il primo s’intende un’azione costruttiva per la sopravvivenza. La seconda ne è il contrario.
 

29 Proprio perché la dottrina si basa su di un’ organizzazione peculiare e sull’applicazione di principi contrapposti alla mera conoscenza o semplice fede, Hubbard definiva la dianetica una dottrina ‘tecnologica’. Base della tecnologia del fondatore è una disciplina atta a migliorare la funzione della mente e a riabilitare le potenzialità dello spirito. Tale disciplina è detta Auditing, il cui scopo è di ripristinare le capacità ed il benessere aiutando la persona a liberarsi delle incapacità spirituali, accrescendone il potenziale individuale, attraverso l’eliminazione di tutti gli engram negativi. Nel corso dell’auditing viene utilizzato uno ‘strumento religioso’, l’elettropsicometro o, più semplicemente E-Meter, che serve a misurare lo stato di una persona ed i relativi cambiamenti, sempre a livello spirituale, attraverso un piccolo flusso di energia elettrica.
 

30 S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa (come sopravvivere senza conoscerla), in AA. VV., Principio pattizio e realtà religiose minoritarie, a cura di V. PARLATO G. B. VARNIER, Torino, 1995, p. 20 ss.
 

31 S. FERRARI, Stato e Chiesa in Italia, in AA. VV., Stato e Chiesa nell’Unione Europea, a cura di G. ROBBERS, Milano-Baden-Baden, 1996, indica: “credenza in una realtà trascendente (non necessariamente un Dio), capace di dare risposta alle domande fondamentali relative all’esistenza dell’uomo e delle cose, atta a fornire un codice morale ed a generare un coinvolgimento esistenziale dei fedeli che si manifesta (tra l’altro) nel culto e nella presenza di una sia pur minimale organizzazione” (p. 189).
 

32 S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa, cit., p. 30.
 

33 Cfr. F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico. Edizione compatta, II ed., aggiornamento a cura di A. BETTETINI e G. LO CASTRO, Bologna, Zanichelli, 2007, pp. 44-46. N. COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, Cacucci, Bari, 1990, in particolare p. 76 ss.
 

Cfr. anche il parere del Consiglio di Stato, Sez. I, 30 luglio 1986, n. 1390, in Quad. Dir. Pol. Eccl., 1986, pp. 503 ss., sulla questione del riconoscimento della personalità giuridica alla Congregazione cristiana dei testimoni di Geova. Cfr. anche G. DI COSIMO, Alla ricerca delle confessioni religiose, in Dir. Eccl., 1998, I, p. 421 ss., e ID., Privilegi per le confessioni religiose: chi certifica l’autenticità dei motivi di coscienza?, in Giur. cost., 1992, pp. 4223- 4235.


34 G. DI COSIMO, Alla ricerca delle confessioni religiose, cit., p. 431.
 

35 Il metodo extravalutativo è caratterizzato dalla ‘inversione dell’onere della prova’, per cui spetta al soggetto competente la dimostrazione che il gruppo non è una confessione, in mancanza della quale rimarrà valida l’autoqualificazione: G. DI COSIMO, Privilegi per le confessioni religiose, cit., p. 4244. Anche N. COLAIANNI, Sul concetto di confessione religiosa, in Foro It., 1995, parte II, c. 2992, sottolinea che non vi è “nessun dubbio sulla possibilità di controllo dell’autoqualificazione, ma essa è eventuale e avviene in un secondo momento, quello processuale”. L’analisi dell’A. parte da due sentenze su Scientology, di Appello e di Cassazione, rispettivamente del 1993 e del 1995.
 

36 I tribunali spagnoli si sono pronunciati diverse volte sul caso Scientology, per concludere sempre nel senso dell’inammissibilità dell’iscrizione nel ‘Registro delle Entità Religiose’ per mancanza dei requisiti richiesti dalla legge. Cfr., ad esempio, la risoluzione della Direción general de Asuntos religiosos del 20 apr. 1985 confermata dalla decisione del Tribunale supremo, Sala III, del 25 giugno 1990, in Quad. Dir. Pol. Eccl., 1991-92/1, pp. 356 ss., in cui il diniego di iscrizione è giustificato sulla base della considerazione secondo cui la Chiesa di Scientologia di Spagna non ha una vera e propria finalità religiosa, in quanto non è basata sulla relazione dell’uomo, come essere spirituale, con un Dio trascendente, ma accetta l’esistenza di un Dio creatore soltanto come componente essenziale dell’essere umano, da cui deriva una filosofia morale puramente umanistica tendente al controllo della soggettività: la finalità religiosa, richiesta dalla legge per ottenere l’iscrizione nel registro suddetto, esclude dal suo ambito tutto ciò che abbia relazione con lo studio dei fenomeni psichici, parapsicologici o spiritualistici. Nello stesso senso si era pronunciato anche il Tribunale costituzionale, Sez. II, con la sentenza 29 giugno 1988, in Quad. Dir. Pol. Eccl., 1989/1, pp. 347 ss., secondo la quale è legittimo e costituzionale il diniego d’iscrizione, poiché dal raffronto delle norme statutarie dell’ente con i requisiti richiesti dalla legge, non è possibile riconoscere allo stesso natura e finalità essenzialmente religiose. Cfr. A. MOTILLA, Aproximación á la categoria de confesión religiosa en el derecho español, in Dir. Eccl., 1989, I, p. 145 ss. e dello stesso A., Sectas y derecho in España, Madrid, 1990, in particolare p. 248 ss., e Grupos marginales y libertad religiosa: los nuevos movimentos religiosos ante los tribunales de justicia, in Anuario de der. ecl. del Estado, IX, 1993, p. 114 ss.
 

37 Massima della sentenza dell’11 ottobre 2007, n. 352/2005, “Inscripción de la Iglesia de scientology de España en el Registro de entidades religiosas”, Sala de lo Contencioso-Administrativo, III sezione amministrativa dell’Audiencia Nacional, il tribunale speciale spagnolo, pubblicata in Diritto e Religioni.
 

38 Cfr. M. TEDESCHI, Le comunità religiose nell’Unione Europea, in Filosofia dei diritti umani, IV, fasc. 10, 2002, pp. 28-31, ed ora in ID., Studi di diritto ecclesiastico, II ed.,Jovene, Napoli, 2004, pp. 1 – 8, il quale si interroga sul modello europeo di approccio al fenomeno religioso, respingendo il ‘modello concorrenziale’ cui sarebbe da preferire quello di tipo ‘protezionista’; “la religione non può essere riguardata né in chiave politica né economica. Gli interventi dei singoli ordinamenti, quando positivi, possono costituire dei modelli sia per gli altri ordinamenti sia per la stessa Comunità Europea” (p. 7).
 

39 Cfr. G. CAROBENE, Sul conflitto tra la libertà di espressione e di religione in una sentenza della Corte Europea, in Dir. Eccl., 1996, 2, pp. 215- 242. Nella sentenza era stata sottolineata l’impossibilità di ravvisare una concezione uniforme, a livello europeo, della morale e del significato che la religione aveva nella società: cfr. par. 50.
 

40 Cfr. G. CAROBENE, La Corte Europea e lo status delle minoranze in Grecia, in Dir. Eccl., 1998, 1, pp. 123-134; e ID., La libertà di religione, di manifestazione del credo religioso e il rispetto dell’ordine pubblico. Riflessioni in margine all’affaire Leyla Sahin davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Diritto e Religioni, 1/2, 2006, pp. 621- 633.
 

41 Par. 72. della sentenza, cit.
 

42 Cfr. par. 73: «The Court further reiterates that the right to form an association is an inherent part of the right set forth in Article 11. That citizens should be able to form a legal entity in order to act collectively in a field of mutual interest is one of the most important aspects of the right to freedom of association, without which that right would be deprived of any meaning. The way in which national legislation enshrines this freedom and its practical application by the authorities reveal the state of democracy in the country concerned».
 

43 Cfr. par. 75.
 

44 Il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione il 22 maggio 1984, pubblicata in Gazz.Uff. Com. Eur., 2 luglio 1984, n. C172 in cui si sottolinea, inter alia, che per essere leciti i nuovi movimenti religiosi non dovrebbero accogliere minorenni; dovrebbero assicurare ai proseliti un sufficiente periodo di riflessione prima di assumere impegni finanziari o personali; dopo l’adesione dovrebbero essere consentiti i contatti con familiari ed amici; si dovrebbe poter abbandonare il gruppo liberamente, poter usufruire di assistenza medica e legale al di fuori del movimento; l’organizzazione non deve incoraggiare i membri ad infrangere la legge.
 

Stato, Chiese e pluralismo confessionale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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